L’alluce valgo

Un’altra delle patologie più frequenti nell’ambito della Chirurgia del Piede e della Caviglia è l’alluce valgo, sul quale esistono ancora non pochi dubbi (e non solo da parte dei pazienti) su quando (e se) sia opportuno sottoporsi all’intervento chirurgico. Nonostante una sorta di leggenda metropolitana che narra quanto questo tipo di intervento sia tra i più dolorosi nel vasto panorama della chirurgia ortopedica, si tratta di una disfunzione semplice, facilmente diagnosticabile e, in mani esperte, anche facilmente trattabile, senza contare che le tecniche attuali, sempre più atraumatiche e precise, consentono un recupero rapido. Le premesse fanno però capire come spesso si riscontrino gravissime deformità dell’avampiede causate da un ritardo eccessivo nella diagnosi e, soprattutto, nel trattamento.

L’alluce valgo non è altro che la deviazione verso l’esterno della prima falange dell’alluce rispetto al primo metatarso; le cause sono molteplici e complesse ma, a prescindere da queste, occorre ribadire che siamo di fronte ad un disturbo di notevole importanza per l’economia della funzionalità del piede e, quindi, per la deambulazione stessa. Si tratta, quasi sempre, di forme con una significativa tendenza all’evoluzione e, quindi, al peggioramento, con interessamento delle dita vicine che si possono deformare (tipici, in questo senso, il dito a martello e il “cross-over” tra alluce e secondo dito); per questo si consiglia di non attendere che si presentino complicanze, ma di consultare lo specialista da subito, dal momento che i migliori risultati si ottengono sempre nelle fasi iniziali. La sintomatologia postoperatoria è scarsamente significativa e comunque non sostanzialmente differente da altri interventi di chirurgia ortopedica sul piede o su altri segmenti scheletrici. La deambulazione è consentita già in prima giornata postoperatoria con una calzatura specifica detta “in talo”. Il trattamento postoperatorio consiste in mobilizzazioni assistite della metatarsofalangea dell’alluce da iniziare dopo 15 giorni dall’intervento, massaggi di scollamento sulle cicatrici con uno specifico gel dopo 40 giorni e magnetoterapia a domicilio per 30 giorni.

 

La degenerazione del piede

La degenerazione del piede, che interessa pazienti tra l’età media e l’età avanzata, porta ad alterazioni che accompagnano il fisiologico invecchiamento del piede in tutte le sue componenti: la più diffusa è l’artrosi, ovvero un’alterazione dei tessuti articolari che causa dolore e riduzione del movimento ma anche deformazioni e iperostosi, distacchi ossei e corpi mobili, tendinopatie e rotture tendinee, ulcere cutanee. Ma non dobbiamo dimenticare le forme reumatoidi che presentano spesso evoluzioni molto aggressive. Spesso si tratta di quadri clinici molto invalidanti che vanno ad incidere sulla vita lavorativa, sportiva e sociale: per questo, dopo un’attenta valutazione del paziente e gli opportuni esami clinici e strumentali, è necessario decidere un percorso terapeutico idoneo, che può essere di tipo chirurgico, conservativo (farmacologico o riabilitativo), o prevederli entrambi.

 

Le caratteristiche del piede

Il piede è un organo di movimento estremamente complesso, costituito da uno scheletro composto da 26 ossa articolate tra loro, che sfrutta, per i propri movimenti, un complicato sistema di forze muscolari, tendinee, capsulari, ligamentose e aponeurotiche. Il piede rappresenta una struttura che si deve adattare contemporaneamente al piano statico per mantenere l’appoggio, e alle forze dinamiche per assicurare lo spostamento; deve, insomma, effettuare quello che si può definire un “compromesso meccanico” tra una struttura rigida (ossa e legamenti) e strutture dinamiche (muscoli e tendini). Il piede si deve adattare alle svariate situazioni che si riscontrano durante la marcia (terreno liscio o irregolare, scale, sabbia, ghiaia, etc), deve assicurare la stabilità in condizioni di riposo e, allo stesso tempo, adattare e ammortizzare la trasmissione delle forze discendenti e ascendenti nel corso della marcia. Ci mantiene in contatto, o meglio, in relazione con l’ambiente: è pertanto fondamentale che conservi la motilità più completa possibile con i suoi motori in totale efficienza.

Nello specifico, il piede può essere definito un organo propriocettivo, dove la propriocezione è l’insieme dei messaggi inviati al sistema nervoso centrale da fibre sensitive, connesse a recettori specializzati interni a muscoli, legamenti e articolazioni. I recettori propriocettivi sono organi nervosi estremamente specializzati e sono presenti in numero elevato nelle strutture articolari, soprattutto su legamenti e capsule; il loro compito è quello di inviare continuamente informazioni sullo stato di stiramento di tali tessuti per permettere al nostro sistema nervoso di reagire in modo adeguato ed estremamente rapido con contrazioni della muscolatura, idonee a stabilizzare l’articolazione e, quindi, conservare i rapporti articolari stessi, anche in situazioni dinamiche particolarmente stressanti per la caviglia. Tali recettori forniscono anche le informazioni al cervelletto, insieme ai recettori visivi, vestibolari e uditivi, necessarie per il mantenimento dell’equilibrio nello spazio. Nel piede i propriocettori si situano in particolare sulla capsula e sui legamenti dell’articolazione tibiotarsica, sottoastragalica e metatarso-falangea dell’alluce.

 

Protesi d’anca e tecniche mininvasive

La sostituzione chirurgica di protesi dell’anca rappresenta oggi uno degli interventi più frequenti in ambito ortopedico-traumatologico ed ha un impatto notevole sullo svolgimento delle più comuni attività quotidiane.

L’obiettivo di un intervento di protesi d’anca, nel quale vengono sostituite ex novo le superfici articolari della testa del femore e dell’acetabolo del bacino, è quello di eliminare il dolore spesso causato da una patologia degenerativa, recuperando una buona articolarità ed una progressiva ripresa della funzionalità. Consente, inoltre, di ripristinare l’anatomia e la biomeccanica articolare in caso di fratture del collo del femore.

Nel corso degli anni a Ospedali Privati Forlì, oltre a seguire la continua evoluzione nella ricerca dei biomateriali e nel design degli impianti protesici, si è sviluppato un crescente interesse verso il concetto di Chirurgia mininvasiva, inteso come conservazione del patrimonio osseo e risparmio dei tessuti periarticolari (muscoli, tendini, vasi e nervi) allo scopo di ridurre le complicanze e diminuire i tempi di recupero.

In questo senso, le moderne tecniche di intervento di protesi d’anca si focalizzano sulla via che il chirurgo sceglie per raggiungere l’articolazione: la via d’accesso anteriore risponde maggiormente ai criteri di mininvasività rispetto alle vie chirurgiche tradizionali, che prevedono incisioni sulla coscia (in posizione laterale o posteriore) con annesso taglio di fibre muscolari e tendinee che comportano un lungo periodo di guarigione.

Nello specifico, i vantaggi della via d’accesso anteriore sono: una ridotta cicatrice cutanea (inferiore del 40% circa); la riduzione della zoppia e del dolore post-operatorio, poiché la via chirurgica passa per un reale piano internervoso ed intermuscolare; un minor rischio di lussazione grazie al risparmio ed alla conservazione dei muscoli glutei ed extrarotatori dell’anca, alla maggior precisione nella misurazione della lunghezza degli arti; ridotte perdite ematiche perioperatorie; mobilizzazione attiva dell’anca operata nell’immediato post-operatorio; una rapida ripresa funzionale con diminuzione dei tempi di ricovero e dei costi di ospedalizzazione; un precoce ripristino delle comuni attività quotidiane.

La tecnica ASI Anteriore Supina Intermuscolare rende possibile al chirurgo un accesso diretto all’articolazione passando tra le fibre muscolari senza incidere né tagliare alcun tendine: questo permette alla maggior parte dei pazienti di camminare già nelle 24 ore successive all’intervento (se necessario, con l’ausilio di stampelle) e di essere dimessi entro 2-3 giorni, durante i quali verrà iniziata la fisioterapia che dovrà poi continuare presso un centro specialistico per un rapido ritorno all’attività quotidiana.

La tecnica ASI, infine, consente di effettuare la via mininvasiva anche nel caso di pazienti con particolari esigenze, come coloro afflitti da obesità o altre patologie.