Dormire meglio? Oggi si può!

Nonostante si tratti di un campo di studi relativamente recente (si è iniziato a sviluppare sul piano clinico a partire dalla seconda metà degli Anni ’80 del secolo scorso), la medicina del sonno ha acquisito negli anni notevole importanza, in quanto consente di trattare un insieme di problematiche che spesso hanno un forte impatto sulla salute e sulla qualità della vita dell’individuo; questo infatti risulta gravato da sintomi impegnativi, gravi comorbosità e, molto spesso, maggiore mortalità, oltre a necessitare di sempre maggiore assistenza sanitaria e sociale.

I disturbi del sonno sono oltre 90 secondo la classificazione internazionale, ma tra questi, quello prevalente nella popolazione è la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSA): recentissimi ed attendibili dati epidemiologici hanno documentato che un’OSA di gravità tale da richiedere provvedimenti terapeutici specifici è presente nel 49% dei maschi e nel 24% delle donne di età 35-70 anni. Si tratta di una sindrome causata dall’ostruzione, parziale (in questo caso, si parla di ipopnee) o completa (apnee), delle vie aeree superiori, con eventi ostruttivi che hanno una durata minima di 10 secondi (ma spesso superano il minuto).

È ormai confermato da tempo il rapporto causale tra questa sindrome e patologie come ipertensione arteriosa, malattia coronarica, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, stroke, diabete mellito tipo II, insufficienza renale e broncopneumopatia cronica ostruttiva.

L’obesità e un indice di massa corporea elevato sono inoltre i più importanti fattori di rischio che predispongono all’OSA. Altri sono: una particolare conformazione del collo (corto e grosso), l’età avanzata, il sesso maschile, la menopausa, il russamento, l’eccesso di sonnolenza diurna e un sonno non riposante. Inoltre, se è accertato che l’OSA causa malattie cardiovascolari e metaboliche, è altrettanto noto che è molto frequente nei pazienti con malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, aritmie come fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica cronica, scompenso cardiaco, precedenti di ictus o TIA); ma anche con disordini metabolici (in particolare, diabete mellito tipo II) e con insufficienza renale cronica.

Per questi motivi, nel Centro di Medicina del Sonno sorto a Villa Igea e dedicato specificatamente all’individuazione e alla cura di questi disturbi (ed in particolare dell’OSA), si interviene attraverso un approccio multidisciplinare che coinvolge differenti specialisti del Gruppo: pneumologi, otorinolaringoiatri, neurologi, cardiologi, endocrinologi e nutrizionisti.

Accedendo al Centro, l’utente viene preso in carico secondo un percorso che prevede una fase diagnostica, seguita da una terapeutica e una di follow-up. La prima prende il via da una visita specialistica pneumologica o otorinolaringoiatrica con una endoscopia delle prime vie aeree, che solitamente affianca ad un esame obiettivo un colloquio ipnologico; a questa fa seguito l’indicazione di accertamenti strumentali, come la poligrafia respiratoria notturna (PM), che consiste nella misurazione dei parametri cardiorespiratori (russamento, flusso aereo, livello di ossigeno nel sangue, frequenza cardiaca, mobilità respiratoria toracica e addominale, postura nel sonno), o la polisonnografia (PSG), che consiste nella misurazione anche dell’attività elettroencefalografica (EEG), con sensori posizionati sullo scalpo, agli angoli degli occhi e sotto il mento. In entrambi i casi, si tratta di esami non invasivi, eseguiti di norma al domicilio del paziente durante il sonno e molto ben tollerati. Gli accertamenti sono vari, in casi selezionati può essere necessario eseguire anche test funzionali pneumologici (prove di funzionalità respiratoria ed emogasanalisi), valutazione neurologica, cardiologica (ECG ed altri accertamenti strumentali cardiologici) ed internistico/endocrinologica/nutrizionale. I risultati di questi accertamenti consentono allo specialista di procedere con indicazioni terapeutiche, consigli per un’adeguata igiene del sonno ed eventuali successivi controlli clinici.

Per quanto riguarda le terapie, oggi esistono possibilità efficaci per ogni livello di gravità dell’OSA, ma soprattutto è possibile proporle in modo personalizzato sulle necessità ed aspettative del paziente. Tra le opzioni, non raramente usate in modo associato o sequenziale, figurano terapie comportamentali con modifica degli stili di vita, dieta e counseling nutrizionale, a cui può affiancarsi anche una terapia mio funzionale, con esercizi da eseguire con regolarità a domicilio per migliorare il tono dei muscoli delle vie aeree superiori. Molto semplici e a basso costo sono anche le terapie posizionali, che si basano sull’adozione di dispositivi ad alta tecnologia atti a dissuadere dalla posizione supina nel sonno, che rappresenta la causa del problema per circa 2 pazienti OSA su 4. È possibile inoltre ricorrere ad una terapia ortodontica, attraverso l’utilizzo nel sonno di dispositivi intraorali, come specifici byte su misura per le apnee; ma anche all’adozione di piccoli e silenziosi ventilatori meccanici (CPAP, Continuous Positive Airway Pressure), che, se da una parte garantiscono un’efficacia nella risoluzione del problema vicina al 100%, dall’altra non sono però tollerati da tutti i pazienti a cui vengono proposti.

Infine, è possibile valutare il ricorso a trattamenti chirurgici delle vie aeree superiori. In tutti i casi, la terapia viene seguita passo passo dal team di specialisti del Centro di Medicina del Sonno con incontri di follow-up per verificare e tenere monitorati i risultati degli specifici interventi.

La salute dell’apparato digerente

Mangiare è per molti una fonte di piacere. Non solo il gusto è appagato, ma lo è pure il nostro desiderio di socialità. Eppure sempre più persone soffrono di fastidi legati all’alimentazione, quali il reflusso acido, l’alito pesante, il bruciore di stomaco, il fegato grasso, la calcolosi biliare, il gonfiore addominale, le alterate funzioni intestinali, i diverticoli, senza dimenticare la celiachia e le allergie e intolleranze alimentari.

Spesso pensiamo di curare questi disturbi con pastiglie e compresse che risolvono poco se, al tempo stesso, non cambiamo dieta e stile di vita. «Occorrono» scrive Ricca Rosellini «una crescente consapevolezza delle necessità del nostro apparato digerente e una conoscenza più approfondita degli alimenti di cui ci nutriamo. Soltanto così riusciremo a limitare il consumo di cibi “pericolosi”, quali fritture, formaggi stagionati, carni rosse, insaccati, bibite zuccherate, cibi conservati o in scatola, dolci, alcol, caffè, privilegiando i cereali integrali, la verdura, i legumi e la frutta».

È disponibile in libreria e online il “Il grande libro per la salute di stomaco, fegato e intestino” (Edizioni L’Età dell’Acquario, 2021) di Salvatore Ricca Rosellini.

Seguendo le indicazioni di questo manuale – frammiste a note storiche, vicende cliniche e missioni umanitarie – sarà facile per chiunque scegliere il cibo più adatto, organizzare al meglio i pasti della giornata, abbandonare sedentarietà e fumo, a tutto vantaggio della salute. Inoltre, comprenderemo meglio i vantaggi o i rischi rappresentati dal consumo di latticini o glutine, valuteremo correttamente l’alimentazione vegetariana e impareremo a fare l’uso migliore dei prodotti d’erboristeria e della fitoterapia.

Apnee del sonno: un test per calcolare il livello di rischio

Vuoi scoprire in pochi passi se sei un soggetto che può potenzialmente soffrire di apnee nel sonno?

Seguici:

 

· Collo: calcola 4 punti se hai la circonferenza del collo superiore a 40 cm.

· Peso: aggiungi 3 punti se sei in sovrappeso; 5 punti se sei obeso

· Russamento: aggiungi 2 punti se russi

· Età: aggiungi 4 punti sei hai più di 55 anni

· Sesso: aggiungi 2 punti se sei un maschio.

 

Fatto?

Con un punteggio fra 0 e 8 la probabilità di avere apnee nel sonno è bassa (ma non nulla).

Con un punteggio superiore a 8 la probabilità di soffrire di apnee nel sonno è alta.

Covid-19 e disagio emotivo

Il Covid-19 si è insinuato nelle nostre vite in modo sempre più dirompente, stravolgendole completamente. Per alcuni è stato un vero e proprio trauma; riadattarsi alla normalità non sarà semplice, ci troveremo di fronte ad un’esplosione di sindromi psichiatriche da gestire. La pandemia da Covid-19 è un trauma collettivo; tutti noi combattiamo da diversi mesi contro un nemico sconosciuto, invisibile, mutevole e aggressivo. È una minaccia su cui non abbiamo controllo e che disarticola e altera completamente la linearità delle esperienze e del mondo reale, richiedendoci un costante riadattamento e riorganizzazione.

Vivere dentro questa emergenza sanitaria causa angoscia, fatica e stress legati all’adattamento a condizioni imprevedibili, a eventi dolorosi e non usuali. L’intera sfera personale ha subito stravolgimenti dal punto di vista personale, familiare, relazionale, professionale, mettendo a dura prova la resilienza e richiedendo un elevato costo fisico ed emotivo. Si parla di una vera e  propria “post-pandemic syndrome” che determina spesso una risposta acuta da stress e che può causare anche l’esacerbazione di disagi e problematiche psicologiche. Ci troviamo davanti a due tipi di traumi provocati da Coronavirus, quelli lievi e quelli più complessi: i primi sono ad esempio l’aver perso la libertà, il confinamento in spazi piccoli, la gestione difficoltosa dei figli piccoli, dei disabili e degli anziani e le perdite economiche. I loro sintomi si esprimono con espressioni psicosomatiche come:

  • cefalea;
  • disturbi intestinali;
  • difficoltà digestive;
  • tachicardia;
  • alterazioni del peso;
  • ansia;
  • depressione;
  • aumento del consumo alcolico;
  • modifica del sonno;
  • astenia.

Per questi traumi lievi sarà innanzitutto importante capire che si sta per vivere un cambiamento, che la quotidianità che c’era prima non tornerà dall’oggi al domani e che bisognerà riadattarsi, non negare le emozioni e chiedere magari un supporto psicologico.

Il secondo tipo di trauma è quello più complesso da gestire, si tratta del cosiddetto disturbo post traumatico da stress che compare dopo eventi molto gravi come atti terroristici, incidenti, terremoti e in cui, purtroppo, rientra anche l’epidemia da Covid-19. Il disturbo può colpire chi ha perso i familiari o gli operatori sanitari che sono in trincea negli ospedali. I sintomi sono diversi:

  • flashback e ricordi ricorrenti;
  • incubi;
  • iperattività;
  • disturbi dell’umore come sentimento di vuoto;
  • distacco dalla realtà quotidiana;
  • perdita di interesse;
  • irritabilità;
  • ipervigilanza;
  • difficoltà del sonno;
  • scarsa concentrazione;
  • rischio di iniziare ad abusare di droghe, alcol o farmaci.

In questi casi, sarà importante essere seguiti da un’equipe specializzata, perché si tratta di disturbi complicati per i quali solo l’approccio multidisciplinare di professionisti in tale ambito è in grado di fare una diagnosi certa e proporre una terapia adeguata.

 

Le conseguenze psicologiche da Covid-19

Le conseguenze per la salute mentale del Covid-19 sono già visibili e dureranno più a lungo dell’attuale pandemia. Tra i disturbi psicologici maggiormente lamentati ci sono ansia e panico, sintomatologia ossessivo-compulsiva, insonnia, sintomi depressivi e da stress post traumatico. Questi non sono solo la diretta conseguenza della pandemia, ma anche l’effetto dell’isolamento sociale prolungato. La rivista di medicina “The Lancet” ha recentemente pubblicato un articolo da cui emerge un quadro chiaro e allarmante: periodi di isolamento, anche inferiori ai 10 giorni, possono avere effetti a lungo termine, con presenza – fino a tre anni dopo – di sintomi psichiatrici. L’isolamento prolungato può influire negativamente sulla salute delle persone, andando ad alterarne i ritmi del sonno e dell’alimentazione, nonché riducendone le possibilità di movimento. Così facendo, vengono a deprimersi i naturali canali di espressione e piacere dell’uomo, con conseguente deflessione del tono dell’umore.

In aggiunta a ciò le persone rifuggono sempre di più le relazioni sociali, non più per imposizione, ma per scelta: una decisione, inizialmente mossa dal timore di un nemico invisibile e dalla ormai totale incertezza su cosa sia giusto fare/non fare, dire/non dire, pensare/non pensare derivante dalle informazioni ambigue e contrastanti che riceviamo.

Mentre i livelli di stress ambientale continuano a crescere, si assiste, infatti, al deterioramento delle relazioni. Rabbia e nervosismi, inespressi e duraturi, si ritorcono contro noi stessi con risvolti depressivi o problemi psicosomatici. Allo stesso modo, trascorrere insolite quantità di tempo insieme in spazi ristretti e spesso inadatti allo scopo accresce il rischio di conflitti e violenza domestica. L’isolamento sociale prolungato genera, di contro, profonda solitudine in coloro che vivono soli o non possono contare su una rete sociale adeguata, aumentando così la probabilità che emergano sintomi depressivi. A ciò si aggiunge l’impatto devastante e comprensibile delle preoccupazioni legate ai problemi economici e alla perdita di un proprio caro.

In tempi di Coronavirus siamo costretti a rapportarci con la morte secondo modalità estranee alla civiltà umana: dal pensiero di non aver potuto stare accanto al defunto nei suoi ultimi momenti di vita, ai sensi di colpa, all’idea di aver inavvertitamente contagiato la persona, al cruccio di non averla potuta salutare in maniera consona con una cerimonia funebre, fondamentale al processo di elaborazione del lutto, si tratta in tutti i casi di fattori che amplificano il dolore della morte, accrescono i tassi di depressione, il consumo di alcol, droghe e i comportamenti rischiosi tra i quali il suicidio.

Diversamente dai comuni e ineliminabili momenti di crisi che caratterizzano l’esistenza di ognuno di noi – i quali, seppur destabilizzanti, rappresentano un’occasione unica e fondamentale di rivisitazione delle personali strategie di gestione dei problemi – in questo periodo le persone sperimentano impotenza, vulnerabilità e sensazione di perdita di controllo sulla propria vita come risposta a qualcosa di indeterminato, nel tempo e nello spazio.

Ciò genera angoscia per un futuro incerto e, ancora una volta, favorisce la comparsa di sintomi depressivi, soprattutto in soggetti fragili, in coloro che già soffrivano di problemi psichici e negli operatori sanitari.

 

La depressione da Covid-19

I soli fattori di stress ambientale che caratterizzano questo particolare momento storico suggeriscono chiaramente il rischio di una nuova epidemia, e questa volta a soffrirne potrebbe essere la nostra salute mentale. Esaurimento psicofisico, ansia, paura e dolore, angoscia, trauma, rabbia: queste emozioni si alternano, si mescolano e crescono in intensità fino a travolgere la persona e sfociare in disturbi psicologici clinicamente significativi, come la “depressione reattiva”.

Mentre la crisi Covid-19 aumenta il rischio di depressione, la depressione inficia la capacità individuale di risolvere i problemi, stabilire e raggiungere obiettivi, e funzionare in modo efficace, al lavoro e nelle relazioni, rendendo ulteriormente difficoltoso il recupero dalla crisi.

Sentirsi sicuri e protetti è una delle esigenze primarie fondamentali nell’essere umano per potersi muovere liberamente nel mondo circostante, così come la sensazione di avere il controllo sugli eventi della propria vita. Quando tutto ciò viene a mancare, quando incomincia a svilupparsi la credenza che qualunque cosa facciamo non migliorerà le cose, ecco che prende piede un senso di “impotenza appresa”, che blocca ogni possibilità di liberazione o cambiamento.

L’angoscia che proviamo è una normale risposta umana a una grave crisi. Riconoscere e accettare questi sentimenti impedisce che si trasformino in disordine. Rinunciare, delegare, lamentarsi sono tutti atteggiamenti che, se all’inizio di una crisi possono esserci d’aiuto, perpetuandosi finiscono per complicare la nostra situazione, facendoci scivolare lentamente verso la depressione. Riconoscerli da subito nel proprio comportamento è il modo migliore per muoversi in direzione contraria e spezzare il circolo vizioso che porta alla rinuncia globale e che caratterizza le forme depressive più severe.

Questa pandemia porterà inevitabilmente a ridefinire i nostri stili relazionali, che non saranno più basati sulla vicinanza ma sulla distanza. Il contatto fisico verrà sostituito da una condivisione negoziata, mentre la digitalizzazione delle vite, già avviata con l’avvento dei social media, della tecnologia e della realtà virtuale, verrà ulteriormente enfatizzata, grazie alla legittimazione medico-scientifica.

Abbandonare l’idea che “tutto tornerà come prima” e affrontare i cambiamenti in atto con flessibilità previene l’insorgenza di psicopatologia. L’essere umano è estremamente duttile, si adatta al cambiamento, che diventa la nuova normalità. Bisogna darsi tempo.

Opzioni di trattamento specifiche sono disponibili per le situazioni più problematiche, nonché maggiormente fruibili rispetto a prima dell’avvento del Coronavirus, in quanto i professionisti della salute mentale stanno offrendo possibilità di supporto e consulenza non solo in presenza ma anche online mediante la telemedicina.

 

La sindrome Long-Covid

La pandemia da Covid-19 ha avuto e continua ad avere conseguenze drammatiche su tutta la popolazione. Tutti ne sono stati in qualche modo colpiti, in modo particolare chi ha sperimentato in prima persona l’esperienza della malattia.

Infatti, per i molti che ne sono stati colpiti, il Covid-19 ha rappresentato una vera e propria sfida non solo sul piano fisico, ma anche psicologico. E se per alcuni aver vinto il Covid ha consentito un graduale ritorno alla normalità, per altri le conseguenze a lungo termine dell’infezione continuano ad essere presenti, dando origine a quella che ormai è stata ribattezzata come la sindrome Long-Covid.

In alcuni casi il perdurare dei sintomi può alimentare quel senso di rifiuto a lasciare la propria casa, per paura di esporsi a possibili minacce, anche a fronte della fine del periodo di isolamento forzato. Scegliere di prenderci cura della nostra salute psicologica è il primo passo che possiamo compiere per cercare di stare meglio.

 

L’impatto fisico e psicologico sui malati di Covid-19

Come emerge da diverse ricerche scientifiche in campo medico e psicologico, due dati sembrano emergere con chiarezza:

  1. Il Coronavirusnon è solo una patologia che colpisce la salute fisica di chi la contrae, ma porta con sé una serie di conseguenze psicologichenon trascurabili:
  • la paura;
  • il senso di solitudine e di abbandono durante il periodo di isolamento in casa o durante il ricovero in ospedale.
  1. I sintomi legati al disagio psicologico spesso non svaniscono immediatamente una volta superata la fase critica di malattia, ma si manifestano anche nei periodi successiviall’infezione, impattando notevolmente sulla qualità di vita delle persone. Tra questi:
  • stanchezza;
  • debolezza;
  • fiato corto e affannoso;
  • alterazioni dell’umore;
  • stati di ansia;
  • depressione;
  • cefalea;
  • insonnia;
  • perdita di memoria.

 

Come gestire lo stress al tempo del Coronavirus

  1. Impariamo ad accogliere le nostre emozioni

Uno degli aspetti fondamentali della nostra salute psicologica riguarda la capacità di saper affrontare le proprie emozioni. Il primo passo è quello di riconoscere quali sono le emozioni che proviamo, aprendoci alla possibilità di sperimentare anche emozioni poco piacevoli. Quante volte facciamo fatica a dirci che siamo arrabbiati o tristi per qualcosa?

Una volta riconosciute, diciamoci che è del tutto normale provarle, in quanto appartenenti all’ampio spettro delle tipiche emozioni della natura umana. In seguito, cerchiamo di capire come agiremmo se lasciassimo che queste emozioni prendessero il controllo su di noi e come invece vorremmo agire per davvero. In questo modo riusciremo a comprendere meglio le nostre emozioni, impareremo a riconoscerle e a capire come funzionano.

Invece di perdere tempo ed energie nel tentativo, quasi sempre fallimentare, di scacciarle dalla nostra testa, proviamo ad impegnarci a raggiungere obiettivi concreti e pratici nella vita di tutti i giorni.

  1. Poniamoci degli obiettivi

Porci piccoli obiettivi quotidiani può essere un buon modo per sperimentare un certo grado di controllo sulle nostre vite e sarà un’occasione per organizzare in modo pratico le nostre giornate. Soprattutto a inizio giornata, domandiamoci quali siano le nostre priorità.

Inutile pretendere di riuscire a fare tante cose tutte insieme, meglio porci obiettivi:

  • chiari;
  • concreti;
  • realistici, ovvero plausibilmente raggiungibili.

Obiettivi del tutto irrealistici ci esporranno al rischio di fallire e di conseguenza stare male e sperimentare un senso di fallimento.

Utile anche tenere traccia dei progressi raggiunti: questo ci aiuterà ad andare avanti nei momenti di difficoltà. Meglio guardare a ciò che siamo riusciti a fare, domandandoci come migliorare ancora, piuttosto che colpevolizzarci per gli obiettivi mancati.

  1. Facciamo cose che ci fanno stare bene

Un altro modo per stare meglio è dedicare del tempo ad attività che ci fanno stare bene, come per esempio:

  • fare sport;
  • leggere un libro;
  • cucinare;
  • dipingere

La nostra mente ha bisogno di immergersi in attività piacevoli per staccarsi dalla realtà complicata che ci circonda e recuperare le energie fisiche ed emotive necessarie per affrontarla. Si tratta un modo efficace per recuperare le energie che ci servono per essere ancora più capaci a rispondere alle sfide di tutti i giorni.

  1. Impariamo a chiedere aiuto

Un segnale importante di buon spirito di adattamento è la capacità di riconoscere quando siamo in grado di farcela da soli e quando invece abbiamo bisogno di aiuto.

A volte può essere difficile, ma è proprio quando si ha l’impressione di non essere più in grado di gestire la propria vita che bisogna fermarsi, fare un passo indietro e decidere di chiedere aiuto, rivolgendosi ad un consulto professionale.

 

A tal proposito, il Servizio psichiatrico e psicologico di Ospedali Privati Forlì offre una serie di prestazioni in regime di solvenza.